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Effetto HADOPI

4 Giu

È di qualche settimana fa la notizia del presunto successo di HADOPI (Haute Autorité pour la diffusion des oeuvres et la protection des droits sur l’Internet),  l’autorità francese che si fa carico dell’applicazione dell’omonima legge contro la pirateria.

Il provvedimento, entrato in vigore nel 2010, prevede tre segnalazioni al titolare del contratto di abbonamento a Internet dal quale risulta un traffico da siti P2P illegali. L’ultimo stadio di applicazione della legge anti-pirateria prevede  una chiacchierata con un giudice che potrà decidere per una disconnessione forzata della connessione a banda larga incriminata.

 Funziona HADOPI?

Secondo i dati resi noti dallo SNEP (Syndicat National de l’Edition Phonographique) HADOPI funziona.

  • tra ottobre 2010 e dicembre 2011 sono stati aperti complessivamente 755.015 dossier
  • nel 95% dei casi i primi avvisi funzionano come deterrente
  • nel 92%  dei casi HADOPI si ferma al secondo passaggio
  • all’arrivo della terza notifica, solo nel 2% dei casi si arriva ai provvedimenti previsti dalla legge
Funziona quindi il terrorismo psicologico, poiché in generale sono gli stessi utenti che ricevono una segnalazione a contattare HADOPI con l’intenzione di sanare la loro posizione.
Il successo di HADOPI è confermato da una diminuzione del traffico P2P in Francia:
  • 17% in meno di utenti su siti che raccolgono link a circuiti P2P
  • 29% in meno di utenti nei circuiti µTorrent, BitTorrent, eMule, LimeWire
  • dati confermati da una generale diminuzione del file sharing illegale del 43%

HADOPI funziona. Davvero?

Se l’obbiettivo delle leggi anti-pirateria è quello di ridurre il download illegale e favorire il passaggio a canali di distribuzione a pagamento, il corollario inequivocabile dovrebbe essere che a un calo significativo dei consumi pirata corrisponde un aumento dei consumi legali e a pagamento. TorrentFreak segnala, per il caso francese, un andamento opposto:

If we look at the French music industry we see that overall revenues were down by 3.9 percent in 2011.

Likewise, the French movie industry is still going through a rough period with revenues dropping 2.7 percent in 2011. Ironically, an industry insider even blamed online piracy for this drop.

Lo stesso tipo di decrescita è individuato nel report della SNEP (pdf) relativo all’andamento del mercato musicale nel primo trimestre del 2012: la perdita registrata è del 5% che equivalerebbe a 5 milioni di euro per il solo mese di marzo.

SNEP

SNEP – andamento del mercato musicale frances primo trimestre 2012

Tuttavia è difficile e pretestuoso stabilire una relazione diretta tra calo della pirateria e diminuzione/aumento degli introiti. Il dato relativo all’industria francese deve essere messo in sistema con un cambio sostanziale del mercato. La diminuzione delle vendite di supporti fisici (più redditizi) e il passaggio progressivo a un mercato incentrato sul download (meno redditizio rispetto a quello di CD e DVD) spiegherebbe parte del fenomeno.

Anche Le Figaro ha fatto le pulci a HADOPI mettendo in discussione la metodologia con cui sono stati raccolti dati. Aggregando i dati come è stato fatto per il P2P, i tipi di Le Figaro riscontrano un interesse reale dei francesi per lo streaming illegale e per il download diretto: +12% nel 2011 sulla stessa base di siti.

Cette tendance est encore plus marquée si l’on ajoute cinq autres sites majeurs d’hébergement de fichiers écartés de l’étude (FileSonic, FileServe, VideoBB, PureVID, MixtureVideo) et si l’on remonte un peu plus loin dans le temps. Ainsi depuis octobre 2010, c’est-à-dire depuis l’envoi des premiers mails d’avertissement de l’Hadopi, le streaming et téléchargement direct est passé de 6,5 à 8,3 millions de visiteurs uniques dédupliqués en France, selon Médiamétrie, soit une hausse de 29%.

Nella diatriba ci si infila anche Le Monde criticando la presunta correlazione tra crescita dei mercati legali e successo di HADOPI. Le Monde mette in evidenza come il mercato del download legale sia strettamente legato all’andamento di iTunes il quale registra importanti picchi di vendita in corrispondenza dell’uscita di un nuovo modello di iPhone sul mercato francese.

Le Monde - Relazione vendite su iTunes e uscita nuovi modelli iPhone

Le Monde – Relazione vendite su iTunes e uscita nuovi modelli iPhone

Sebbene la crescita del mercato legale sia inequivocabile, l’analisi di Le Monde depotenzia la presunta efficacia di HADOPI nello stimolo di consumi legali.

Rincara la dose Le Figaro contestando le scale logaritmiche utilizzate per rappresentare graficamente l’andamento dei mercati legali in Francia. La scala lineare utilizzata da Le Figaro evidenzia in modo più netto gli andamenti del mercato da un anno all’altro e il divario tra i grandi distributori e quelli minori la cui crescita sembrerebbe davvero irrisoria.

Andamento delle piattaforme legali secondo HADOPI

Andamento delle piattaforme legali secondo HADOPI

Offerte legali in Francia

Andamento delle piattaforme legali in Francia secondo Le Figaro

Anche l’analisi di Le Figaro metterebbe in discussione uno dei punti cardini del presunto successo di HADOPI: diminuisce la pirateria e aumentano i consumi legali a pagamento.

Il risultato finale è quello di un mercato della distribuzione digitale fortemente oligopolistico in cui è complesso identificare l’efficacia delle norme anti-pirateria. Anche se HADOPI ha dimostrato una certa efficacia, rimane da verificare la correlazione con la crescita dei mercati legali che dimostrano un andamento ancora incerto, sebbene in crescita costante. Anche in questo caso, non è lecito arrivare a conclusioni che addebitino alla pirateria un eventuale ruolo nodale nel rallentamento della crescita dei servizi di distribuzione legale. Altri aspetti devono essere considerati: tra tutti le variazioni di budget personale disponibile, le innovazioni tecnologiche e il contesto di fruizione.

Costi sociali di HADOPI

La valutazione dell’efficacia di una legge anti-pirateria – così invasiva e invadente come HADOPI – non può fare a meno di considerare i costi di tale intervento. Infatti, se da un lato HADOPI  riesce a contenere il fenomeno della pirateria, dall’altro non è chiaro quanto costi l’applicazione della legge. Secondo la voce HADOPI della versione francese di Wikipedia:

Les coûts d’application de la nouvelle loi, y compris après sa mise en conformité avec la constitution, sont estimés par le ministère de la Culture à 6,7 millions d’euros. Les fournisseurs d’accès sont en désaccord total avec ces estimations; d’après eux, les coûts atteindront plusieurs dizaines de millions d’euros (100 millions selon La Fédération française des télécoms). De plus, les internautes recevraient l’injonction d’installer sur leur ordinateur un logiciel de sécurisation payant et non interopérable.

Il futuro di HADOPI è incerto. Con l’uscita di scena di Sarkozy, il principale fautore della legge, e l’arrivo di Holland all’Eliseo si vocifera già di un possibile pensionamento della tanto contestata legge sulla pirateria.

Nel suo programma elettorale, Hollande aveva promesso, in caso di vittoria, una rivalutazione di HADOPI; tuttavia Hollanda dovrà dare un colpo al cerchio e uno alla botte, poiché inimicarsi le lobby delle industrie culturali potrebbe risultare una una mossa azzardata.

Sulla materia, Hollande aprirà una  consultazione che durerà sei mesi, il tempo necessario per ascoltare tutti gli attori della filiera compresi i consumatori, al termine della quale si deciderà il futuro di HADOPI.

Tuttavia sembra che l’orientamento di Hollande sia quello di intervenire con un legge sull’exception culturelle al fine di valorizzare la produzione culturale e distinguerla da quella di altri prodotti commerciali, e favorire la produzione nazionale con lo scopo di mitigare l’espansione dei prodotti esteri. A questo si aggiungerebbe un intervento sulla falsa riga del culture flat rate, che favorirebbe la depenalizzazione del download illegale a fronte di una tassazione sulle connessioni internet.

Staremo a vedere. Le scelte francesi in materia di diritto d’autore e pirateria avranno un impatto sicuro sulle politiche comunitarie e di conseguenza, anche dalle nostre parti, si faranno sentire le ricadute delle scelte di Holland.

In Loving Memory of library.nu

15 Mar

Would you steel a book - ebook piracy

Il 15 febbraio 2012 un manipolo di editori ha ottenuto da un tribunale di Monaco un’ingiunzione di chiusura per library.nu, uno dei più noti servizi di download illegale di ebook. Insieme al sito sono spariti più di 400.000 titoli e il cyberlocker iFile.it, ma sono rimasti i numerosi problemi dell’industria editoriale incapace di confrontarsi con la pirateria.

Libray.nu è un sito era un sito che raccoglieva link dai quali poter scaricare ebook gratuitamente e, nella maggior parte dei casi, piratati. Library.nu non forniva link a pagamento e non inseriva banner pubblicitari come invece faceva il cyperlocker iFile.it che, secondo i dati riportati nell’ingiunzione, guadagnava più di 10.000 dollari – dati smentiti dai proprietari del sito. Entrambi i siti hanno deciso di oscurare i loro servizi a seguito dell’ingiunzione.

Per gli editori coinvolti nella questione, la chiusura di library.nu è stata sbandierata come una grande conquista nella lotta alla pirateria e un passo fondamentale per l’ottenimento dei giusti compensi derivanti dallo sfruttamento della proprietà intellettuale.Tuttavia – cosa ve lo dico a fare –  continuano a spuntare come funghi siti in grado di fornire servizi simili a quelli dei due siti chiusi.

library.nu Unique Visitors

Library.nu - Visitatori unici http://siteanalytics.compete.com/library.nu/

Alcuni motivi per piangere la morte di library.nu

Library.nu ci mancherà. Parecchio. Ci mancherà perché il patrimonio che custodiva, curava e rendeva disponibile attraverso la community che animava la piattaforma, era inestimabile. Quel patrimonio spesso era irraggiungibile in gran parte del mondo perché composto da materiali non distribuiti a livello globale, fuori catalogo o semplicemente troppo costosi. Library.nu era diventato il punto di riferimento per la comunità scientifica e per gli studenti: uno strumento di ricerca inestimabile.

Christopher Kelty sulle pagine di Aljazeera analizza la composizione degli utenti di library.nu:

They live all over the world, but especially in Latin and South America, in China, in Eastern Europe, in Africa and in India. It’s hard to get accurate numbers, but any perusal of the tweets mentioning library.nu or the comments on blog posts about it reveal that the main users of the site are the global middle class. They are not the truly poor, they are not slum-denizens or rural poor – but nonetheless they do not have much money. They are the real 99 per cent (as compared to the Euro-American 1 per cent).

They are a global market engaged in what we in the elite institutions of the world are otherwise telling them to do all the time: educate yourself; become scholars and thinkers; read and think for yourselves; bring civilisation, development and modernity to your people.

Alcune risposte degli orfani di libray.nu trovate in giro tra blog e forum chiariscono ancora l’importanza del servizio:

Mpower

Library.nu also had a TON of texts that you simply can’t get legitimately, sadly. As a Middle East historian, I was able to access a lot of information taken by Germans and English of the area from their surveys after WWI. These texts are only either available digitally through sites like library.nu or by going to Berlin or Westminster and looking through records myself.

Alan Toner dalle pagine del suo blog kNOw Future Inc. ricorda che library.nu veniva alimentato in modo significativo anche dagli stessi autori dei libri che non vivono di certo grazie ai compensi editoriali, ma da fonti di reddito collaterali all’attività di scrittori e saggisti. E poi aggiunge:

Outside of formal education, the millions of online autodidacts may be denied access to material, seriously impinging on their lives and possibilities. When one considers the cost of text books and more especially scholarly articles, that is no hyperbole, and applies not only to the global south but the post-industrial north as well, awash in its dreams of knowledge economies and human capital.

Insomma, la lotta alla pirateria editoriale ha delle ripercussioni significative di ordine, culturale, sociale ed economico. Tuttavia, sembra non sia ancora accettabile chiedere ai grandi editori di agire anche in nome di una maggiore sostenibilità della cultura e dell’educazione applicando prezzi più contenuti e facilitando l’accesso agli strumenti e alle fonti per la ricerca e la formazione.

Una nuova library.nu

Dalla fine di library.nu nasceranno nuove library.nu. Cosa possono fare gli editori per evitare che la pirateria abbia la meglio? Provo ad elencare alcuni spunti per una riflessione più accurata sul rapporto tra editoria e pirateria:

  1. abbassare i prezzi: è un po’ il nostro mantra. Dai post di Digital Piracy in più occasioni abbiamo segnalato la necessità di abbassare i prezzi di accesso ai contenuti al fine di arginare il download illegale. Gli editori sostengono che prezzi simili a quelli di iTunes per il prodotto musicale non siano applicabili in campo editoriale poiché svaluterebbero la percezione del libro come prodotto culturale di alto rilievo. Dite sul serio o ci prendete per i fondelli? A me questa cosa non convince. Abbassate i prezzi, soprattutto degli ebook, sperimentate con i prezzi, con le formule ad abbonamento flat e poi riparliamone;
  2. unbundling dei contenuti: fate come iTunes e spacchettate il libro elettronico in capitoli, soprattutto se si tratta di saggistica. Spesso non ci interessa tutto il libro, ma solo una parte o il racconto di uno specifico autore contenuto in una raccolta. Il resto non lo voglio, grazie, e quindi non lo pago;
  3. contenuti extra: arricchite i libri digitali di contenuti extra e multimediali e trovate la specificità dell’ebook;
  4. versioni delux: non abbandonate le pubblicazioni cartacee, ma fate in modo che siano uniche;
  5. ampliare l’offerta: investire nell’editoria digitale significa anche rendere disponibile un catalogo vasto, meglio ancora se vastissimo;
  6. distribuzione globale: se un editore non riesce a gestire una distribuzione internazionale anche per la letteratura scientifica, bhé allora si faccia da parte, ci pensa la pirateria.
  7. ripensare il DRM: troppe restrizioni generano un’esperienza d’uso frustrante. Prima di inserire un DRM è bene valutarne tutti gli effetti.

Altri interventi possibili non riguardano solo gli editori, ma il nostro modo di relazionarci con i libri. Si può pensare a forme di sostegno all’editoria in cambio di un accesso illimitato ai contenuti: le sovvenzioni potrebbero arrivare dallo Stato o da istituti di ricerca, e gli editori garantirebbero la massima circolazione dei libri e quindi della ricerca, al fine di ottenere, sul lungo periodo, degli effetti positivi a livello sociale, culturale e industriale. Ma ho paura che non funzionerebbe…

Potremmo fare a meno degli editori?! Sì, sicuramente se li intendiamo come stampatori, come impacchettatori di volumi e di ebook. Siti come Lulu, Il mio libro, WeBook, Kindle direct-publishing fanno il lavoro sporco. Voi dovete solo mettere i contenuti. Avremo ancora bisogno di editori intesi come catalizzatori culturali, capaci di indicare una prospettiva di lettura della realtà attraverso una proposta editoriale? A questo non so rispondere. Sicuramente qualsiasi editore deve fare i conti anche con la pirateria se vorrà far emergere l’originalità e la validità della propria offerta editoriale.

HBO, Game of Thrones e The Oatmeal: la pirateria spiegata in una striscia

23 Feb

Avrete sicuramente visto in rete la striscia pubblicata sul sito The Oatmeal e che prende di mira la fortunata serie di HBOGame of Thrones. In una manciata di disegni è condensata non solo la portata culturale di un’abitudine consolidata e radicata come il download, ma l’inconsistenza di un sistema distributivo reo di non riuscire a rispondere alle esigenze di consumo della propria audience.

Chi ci segue sa che non è questa una novità assoluta, tuttavia la possibilità di confrontarsi con un caso ben specifico – seppur nella sua chiave comica – permette di misurare il problema in tutta la sua concretezza in un mercato, come quello americano, in cui la potenza dei canali distributivi va ben oltre quella della distribuzione italiana.

USA. Cosa succede se siete disposti a pagare per vedere Game of Thrones?

  • Netflix: contenuto non disponibile
  • iTunes: $39 per il season pass…ma per accedere a delle featurette
  • Amazon: non disponibile
  • Hulu Plus: redirect a HBO
  • HBO: stagione disponibile solo sottoscrivendo l’intero abbonamento alla cable tv per sfruttare la fruizione OTT (ovvero streaming disponibile solo per chi è già utente “cavo”)

…volete sapere come va a finire?

Continuate a leggere e… scaricate responsabilmente.

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Ok, il prezzo è giusto

28 Dic
Moneygami

Moneygami

Si mormora che uno dei principali motivi per cui la pirateria continui a perseverare sia l’elevato costo di accesso ai contenuti digitali. Quindi è sufficiente abbassare i prezzi per contenere la pirateria? Sì e no, ma soprattutto qual è il prezzo giusto? Dipende è la risposta migliore che si possa dare poiché, nella definizione del prezzo di vendita di qualsiasi cosa messa in vendita, intervengono molteplici fattori.

Ne vale la pena?

Per prima cosa qual è il valore che attribuiamo a ciò che stiamo per acquistare? In generale, tendiamo a conferire un valore superiore ai beni fatti di atomi mentre siamo propensi a svalutare quelli fatti di byte. Anche perché si sa, se è digitale prima o poi sarà anche gratis.

La percezione del valore dipende:

  • dai gusti personali, ma l’appartenenza a un determinato gruppo può incidere sulla percezione del valore: Apple docet;
  • dalle conoscenze personali sul prodotto/servizio;
  • dal tasso di innovazione presente nel prodotto che si intende acquistare;
  • dal contesto di acquisto.

Ma quanto mi costa?

A quanto ammonta il costo reale di un acquisto? Quando un cliente considera il costo di qualcosa, nei fatti tiene in considerazione diversi elementi:

  • il costo in termini di moneta sonante;
  • il costo in termini di tempo speso per usufruire del prodotto acquistato (tempo che non potrà essere investito in altri modi);
  • il costo in termini di energie mentali per portare a termine la scelta d’acquisto.
Quindi, quanto mi costa andare al cinema? Il prezzo del biglietto + il costo del tempo speso al cinema + la fatica di vedere il film (+ il costo del parcheggio, la baby sitter, la cena…)

Perché è così difficile?

Ma alla fine della fiera che si scelga di impulso o che si rifletta con attenzione su cosa investire, la scelta è faticosa, complessa e articolate che non sappiamo portarla a termine in modo autonomo e quindi scegliamo qualsiasi cosa che sia stata scelta per noi. Almeno è quello che risulta dalle ricerche di Dan Ariely.

Peep Laja, prendendo spunto dall’intervento di Ariely, ripropone le migliori sperimentazioni sui prezzi – pensate per indurci a comprare:

L’esca

Se offrite due prodotti affini, ma diffrenti – un viaggio a Roma all inclusive e uno a Parigi sempre all inclusive – la scelta si presuppone difficile per i potenziali acquirenti, ma se si mette una terza opzione che equivale ad uno dei due prodotti ma privo di un benefit (viaggio a Roma senza prima colazione) allora risulterà molto più facile per gli acquirente fare una scelta tra due prodotti questa volta più simili tra loro. Tutto ciò ci insegna che è bene inserire un’esca simile al prodotto che ci interessa vendere di più.

La prova del nove

Siamo tutti d’accordo che un centesimo non cambia la vita a nessuno, ma le ricerche dicono che i prezzi che terminano in 9 invece che per cifra tonda hanno una maggiore efficacia in termini di vendite. Dalle parti di iTunes ne sanno qualcosa.

Ancore e aggiustamenti

Niente è caro di per sé: tutto è relativo a ciò che ci sta in torno. Quindi un prezzo se comparato a un altro più alto tenderà ad apparire ancora più basso. È un processo automatico e non possiamo farci niente, ma conoscere i prezzi della concorrenza può fornire un vantaggio mentale interessante.

Pay what you want

L’esempio più noto in ambito entertainment di pagamenti volontari è forse l’album In Rainbows dei Radiohead che, scaricato un milione e ottocento mila volte, generò una media di 2.26$ per album; comunque un successo per la band che non avendo avuto costi di inventario, stoccaggio e spedizione, ottenne un guadagno superiore rispetto a tutti gli altri album.

Tuttavia il sistema del pay what you want funzioni al meglio se si verificano le seguenti condizioni

  • A product with low marginal cost
  • A fair-minded customer
  • A product that can be sold credibly at a wide range of prices
  • A strong relationship between buyer and seller
  • A very competitive marketplace.

Freemium

Le stime indicano un rapporto di 1 a 19: vale a dire che per ogni utente che accede a una versione avanzata di un servizio ne esistono 19 che accedono allo stesso servizio, in versione base e gratuitamente. Il modello sembra funzionare bene se riusciamo a innescare  degli effetti di network; funziona bene soprattutto come strumento di marketing, ma sembra più incerto come modello di azione a lungo termine soprattutto se non si riesce ad ottenere una posizione di forza sul mercato e se si è un’impresa di piccole dimensioni.

Ma la pirateria non ha prezzo

Gratis è sempre meglio di poco? Anche in questo caso l’unica risposta sensata è dipende. La breve ricognizione sulle sperimentazioni sui prezzi sono utili per comprendere le complessità aziendali e compertamentali che stanno dietro alle dinamiche di prezzo. Inoltre, le indagini che ho riportato si riferiscono a mercati spesso molto lontani da quelli digitali e delle industrie culturali. Quindi che fare? Le indicazioni più immediate possono essere riassunte così:

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