Da qualche tempo ha preso vita un forte dibattito sull’ultimo provvedimento che le industrie culturali hanno battezzato con l’acronimo SOPA (Stop Online Piracy Act) e che a più voci è stato indicato come l’ennesima motivata minaccia alla nostra libertà, anzi la più grave, in grado persino di intaccare persino la libertà di espressione e innovazione sancita dalla Costituzione degli Stati Unit d’America.
Di questo dibattito, inutile dirlo, poco o niente si è appreso dai media “tradizionali”, mentre Facebook, Twitter, blog e testate giornalistiche più o meno “nerdish” (passateci il termine) continuano a stare sul pezzo aggiornando la lista di quanti impegnati concretamente contro la misura. Per fare alcuni esempi, Wikipedia USA e Reddit si preparano a oscurare i rispettivi siti (l’enciclopedia online ha già iniziato la protesta che durerà 24 ore; il secondo dovrebbe “chiudere” tra qualche ora per 12 ore – qui una lista in progress di quanti stanno aderendo alla protesta), mentre Google.com ha messo online una pagina contro la censura della Rete.
Tra le posizioni più interessanti, spicca a mio avviso quella di Tim O’Reilly cui vi rimando (articolo in inglese). Per sintetizzare:
- la pirateria è diretta espressione di un fallimento del mercato incapace di rispondere alla domanda dei consumatori e non dell’azione di attori in malafede che vogliono appropriarsi in maniera non autorizzata di materiale coperto da copyright;
- la soluzione di un problema di mercato sta nel mercato e non in un atto governativo. La risposta dovrebbe prevedere misure come sviluppo di prodotti, business model innovativi e adeguate politiche di prezzo. Il tutto supportate da leggi a sostegno e reale difesa della proprietà intellettuale e non dirette al consolidamento delle posizioni dominanti.
Insomma, nulla di nuovo sotto il sole. Storia trita e ritrita, direte. Eppure siamo ancora qui a parlarne.